L’opera d’arte in Piero Perin (1924 – 2008). Alcune note da cui ripartire.

di Elisabetta Vanzelli

Nella volontà di rendere omaggio alla figura dell’artista Piero Perin – omaggio non a caso celebrato nel centenario della sua nascita – l’intento di questo contributo non mira a una ricapitolazione, più o meno estesa, sulle vicende artistiche dell’autore, peraltro già a lungo esaminate da studiosi come Carlo Munari, Dino Formaggio, Giorgio Segato e altri ancora.
Si desiderano piuttosto evidenziare alcuni aspetti del lavoro di Perin che se da un lato lo inseriscono tout court all’interno di quel flusso avanguardistico che raggiunge l’Italia tardamente, ormai a cavallo del secondo Novecento, d’altro canto ci accompagnano verso un’identità che si emancipa nel tempo, tanto nell’opera quanto nel significato ad essa connesso.
Procediamo in tal senso, senza necessità riepilogative, supportati anche dalla notorietà a cui si accompagna il nome dell’artista in ambito cittadino.
Piero Perin è infatti uno dei protagonisti dell’arte padovana della seconda parte del secolo, attivo nel territorio – ma anche a livello nazionale – con numerose mostre personali, rassegne collettive, commissioni pubbliche e private.
Insieme ai nomi di Amleto Sartori (1915-1962), Nerino Negri (1924-2012), Gianni Strazzabosco (1935-2021) e diversi altri, l’artista contribuisce allo sviluppo di una stagione culturale estremamente ricettiva, testimoniata da studi e approfondimenti il cui merito maggiore è forse quello di aver evidenziato un sistema dell’arte virtuoso, sorretto da gallerie private, manifestazioni biennali di respiro internazionale – la famosa BAT e il famoso Bronzetto – e artisti impegnati, anche collettivamente, nelle sorti politiche e culturali della città.
Tali premesse ci permettono dunque una prima riflessione di altro tipo, che prende forma intorno al significato etico e morale a cui si accompagna l’opera omnia dell’autore. Valutazione che risulta pertinente nella misura in cui ci si rende conto che non esiste testo o approfondimento sul lavoro di Perin che non evidenzi questo aspetto, per così dire, di impegno umano e personale dell’artista – aspetto che, come vedremo, ci permette anche di identificarne l’operato all’interno di un preciso clima di ricerca post-bellica.
Senza dubbio, sulla natura di questa vocazione incide l’esperienza personale vissuta da Perin all’indomani della guerra, quando a servizio militare compiuto viene catturato dai partigiani jugoslavi e imprigionato nel campo di concentramento di Borovnica (ex-Jugoslavia).
Tra le prime opere degli anni Cinquanta, alcune portano diretta testimonianza della drammaticità vissuta: Borovnica (1945), il Partigiano fucilato (anni ‘50), Autoritratto (1953), Fucik (1953), Senza titolo (1955) sono un nucleo di lavori – sculture, quadri a olio e disegni – accomunati da una fisicità dolente, di eco quasi espressionista, dove la natura politica della denuncia prende forza nella plasticità aspra e irregolare del modellato.
Va da sé come l’esperienza personale dell’autore trovi giusta collocazione all’interno di un più ampio contesto post-bellico comune a molti artisti italiani dell’epoca, impegnati civilmente in una riflessione critico-estetica che si indirizza a precisi messaggi ideologici.
La denuncia di ciò che era accaduto, il cosiddetto ‘risveglio morale delle coscienze’, l’esortazione ad agire per evitare il medesimo orrore, sono alcuni dei richiami di cui l’artista si fa portavoce, il più delle volte attraverso la restituzione di un’immagine dell’umanità deturpata e sofferente.
Se a livello nazionale primeggiano i nomi di Renato Guttuso, Armando Pizzinato – ma più in generale l’intera ala realista del Fronte Nuovo delle Arti, incluso per un certo periodo Alberto Viani di cui diremo a breve – in ambito cittadino emerge la personalità prorompente di Tono Zancanaro.
Non è dunque un caso se in occasione della mostra padovana del 1982 “Dal Realismo all’Utopia” – rassegna nella quale Piero Perin espone insieme a Ubaldo Bosello ed Enrico Schiavinato – il critico Giorgio Segato, promotore e curatore dell’iniziativa, evidenzia come punto di riferimento per il realismo dei tre autori la ‘stagione socialista’ di Tono.
Scrive a tal proposito lo studioso: «A Padova c’erano fermenti autentici che dettero frutti fin dagli anni Cinquanta. […] sono gli stessi artisti a riconoscere che l’unica voce alta padovana che avesse affrontato il tema della ‘realtà’ era Tono, quel Tono che già negli anni Cinquanta era in Cina e che lasciava alcuni dei fogli più belli e impegnati sui temi delle mondine e dell’alluvione del Polesine. Enrico Schiavinato e Ubaldo Bosello si riconoscono non poco in quell’insegnamento che era di autentica comprensione politica, nel senso più vasto della realtà, e di testimonianza attiva. Piero Perin vede in Tono il genio che ha saputo scavare con magistrale sapienza dentro la realtà profonda della psiche individuale e collettiva»1.
Al contempo, la vocazione ‘etica’ di Perin non si esaurisce nel solo ambito di opere a sfondo politico: la tematica del Mito, che certamente per sua stessa natura invita a considerazioni di ordine morale, rappresenta un vero e proprio fil rouge che accompagna l’intera carriera artistica dell’autore e che probabilmente costituisce la produzione più nota alla critica e al grande pubblico.
I padovani ricorderanno Euterpe del 1960, l’imponente statua di oltre due metri realizzata in polvere di marmo e cemento per l’Hotel Plaza di Padova; o ancora, proseguendo nei decenni a venire, Cariatide del 1971; le versioni di Orizia del 1987 e del 1989; Prometeo (2001); Testa di Orfeo (s.d.) e molte altre opere grazie alle quali è possibile delineare, in seno al loro valore simbolico, una seconda traccia di ordine più propriamente estetico.
A tal fine, vale la pena soffermarsi sulla già nota formazione veneziana di Perin, avvenuta, come è stato più volte precisato, sotto il magistero di due grandi maestri della scultura italiana del Novecento quali Arturo Martini e Alberto Viani.
Un recente studio del 2023 si concentra sul lavoro di quest’ultimo, restituendone un’attenta analisi del periodo di nostro interesse, il quinquennio 1943-‘48, un arco di tempo che la critica definisce ‘di cambiamento’ e che coincide, dal ’45 in poi, con la presenza di Perin all’Accademia di Belle Arti di Venezia2.
All’epoca Viani aveva da poco superato la cosiddetta fase ‘arcaica’, un periodo nel quale trattava la scultura come «blocco monolitico» e procedeva secondo principi modulari che sintetizzavano la forma in maniera compatta e unitaria.
Si inaugurava allora una nuova stagione, che trovava significato «[nell]’invenzione del torso femminile, […] caratterizzato da una linea sinuosa che ne delinea[va] la purezza essenziale del profilo».
A fronte di questo studio, non è certamente necessario conoscere in misura approfondita l’opera di Perin per rendersi conto di quanto l’apice della sua stilizzazione vada inteso all’interno di una linea di ricerca astratta di più ampio respiro, che possiamo presumere trovi origine nelle lezioni veneziane di Viani.
Comprensibilmente, si tratta di un momento di approdo a cui l’artista giungerà più avanti nel tempo, intorno agli anni Settanta, ma che pure si lega, come anticipato, a una tendenza internazionale che abbandona del tutto, o parzialmente, il dato anatomico per assumere forme organiche libere, spesso affini per simbologia alla poetica surrealista dell’epoca.
Osservando i ‘torsi’ e le teste di Perin di questi anni, ci troviamo infatti di fronte a volumi rigorosi, di estrema sintesi, risolti spesso in senso ascensionale e calibrati soprattutto dall’intervento della luce nel suo rapporto con la superficie bronzea.
Sono opere che confermano un superamento radicale del percorso figurativo precedente – di cui diremo a breve – e che trovano approdo in una metafisica delle forme che persisterà negli anni a venire.
Il decennio dei Sessanta, come anticipato, trova l’autore impegnato in una diversa e più tradizionale resa plastica della figura umana.
Se le opere degli anni Cinquanta si accompagnavano ad un’eco di natura espressionista, complice la tematica politica dell’epoca, i lavori che proseguono lungo la seconda parte del secolo approdano a un nuovo tipo di figurazione.
Donna seduta con mela del 1964, Figura femminile con mela e Bagnante, entrambe del 1967, sono ad esempio composizioni definite da linee curve, ritmate, che allungano morbidamente l’anatomia dei corpi – già in parte sintetizzati – con un accento che la critica interpreta in termini neoclassici, quasi canoviani (Weiller Romanin Jacur 1982).
Ancora una volta, si conferma l’attenzione e il dialogo dell’autore con la grande storia dell’arte, se pensiamo alle famose stilizzazioni di Emilio Greco (Danzatrice del 1961, Figure accocolata n.4 del 1973), o ad alcune figure di Marcello Mascherini, la cui vicenda professionale, del resto, è strettamente collegata ad alcuni tra i più importanti episodi artistici della Padova del secondo dopoguerra (Susanna, 1959).
Quanto alle opere degli anni Ottanta, di cui molto è stato scritto, rimane sicuramente l’immagine di un mondo lirico, di una natura panica e di figure legate ex novo alla tradizione classica occidentale.
Da un punto di vista stilistico, Perin inizia un lento recupero dell’immagine, che arriverà a pieno compimento tra gli anni Novanta e i Duemila.
I corpi, ancora in prevalenza femminili, riacquistano compattezza nelle forme, dai ‘torsi’ del decennio precedente riemergono i dettagli della figura umana ma rimane quel principio di sintesi che conferisce all’elemento della linea, anche in questa fase, massimo valore espressivo (Nudo di donna, primi anni ’80; Figura femminile senza braccia, 1982; Orfe, 1985).
La linea definisce il volume della composizione: essa crea continuità nello spazio, dispone la tridimensionalità delle forme, modula curve ed arcate perfette.
In piena continuità con la stilizzazione del decennio precedente, alimenta un moto continuo che tende alla compiutezza plastica ed è da questa esigenza che deriva il tipico indugiare dell’autore di fronte alle proprie opere.
Se di modernità vogliamo parlare, beninteso il valore simbolico delle tematiche e la suggestione delle atmosfere ora neoclassiche ora oniriche, ciò che negli anni va consolidandosi è probabilmente l’idea di una ‘metafisica’ delle forme e di uno spazio non più fenomenico in cui la linea, con estrema padronanza, tende idealmente all’assoluto.

1 S. WEILLER ROMANIN JACUR, G. SEGATO (a cura di), Dal Realismo all’Utopia. Ubaldo Bosello, Piero Perin, Enrico Schiavinato – Figurazione a Padova / 1, Padova (Civica Galleria di Piazza Cavour, 15 maggio – 5 giugno 1982).

2 Lo studio a cui si fa riferimento è E. GRECO, «Nudi trasfigurati da una strana metamorfosi». La scultura di Alberto Viani intorno alla metà degli anni Quaranta, Venezia Arti, Nuova Serie 5 – Volume 32 – Dicembre 2023.